L’opera del DIVINO
AMORE,
gli Incurabili, i
Cappuccini, le “Trentatré”
UNA GENTILDONNA SPAGNOLA
NELLA NAPOLI del ‘500
Alle radici del movimento francescano dei secoli XV e XVI, si
trovano frammenti di una realtà sorgiva che non è da lasciare circoscritta al
passato. Riandarci non si tratta di nudo scavo storico, ma è condivisione
vitale, “traditio”, consegna, di
squarci reali e concreti, per costatare come “lo Divino Amore” si è abbassato.
Non è rimasto un bel concetto, ma è diventato “opera”, cioè, mani che
si sono sporcate, ginocchia che si
sono piegate e sguardo attento alle
deformità fisiche, morali e spirituali.
Docili strumenti del Divino Amore si ritrovarono ad operare,
sotto l’egida di Santa Caterina Fieschi Adorno, terziaria francescana,
“rettora” di S. Maria di Pamatone, primo “ospedale degli Incurabili”, Ettore
Vernazza, Pietro Carafa – Paolo III, Gaetano daThiene, Maria Lorenza Longo,
Maria Ajerbo, duchessa di Termoli, i Cappuccini. Laici, religiosi, terziari,
papa, vescovi, si legarono in mutua “collatio”,
in una spiritualità alta ed austera che intendeva aprirsi alle molteplici
necessità umane, spinti da “un impulso di
meravigliosa abnegazione ... come il traboccante seno materno che appaga e
nutre, un’agile, tenera, cordiale affezione per il prossimo anche esternamente
povero e deforme, ma internamente ricco e magnifico.” (P. Umile Bonzi, S.
Caterina da Genova).
Nel 1494 la diffusione del morbo gallico (sifilide) trovò il
cenacolo cateriniano aperto alla condivisione. I poveri malati erano ridotti a
un aspetto ripugnante e sordido, come lebbrosi. Per loro fu istituito il
Ridotto degli Incurabili sotto la protezione di Maria Vergine.
Il nostro fratello Ettore Vernazza, il “dolce figliolo”, come lo
chiamava la sua maestra Caterinetta, convinto che il Signore Gesù era lì nella
povertà di quegli infelici, cercò anche a Roma una soluzione e, in seguito, nel
Regno di Napoli. Egli aveva già portato nella capitale partenopea il messaggio
del Divino Amore, i cui confratelli erano gli strumenti delle principali opere
pie che si esercitavano nella città di Napoli.
Vi ritornò, dunque, il Vernazza per i “suoi” poveri incurabili e qui “ebbe
un provvidenziale incontro, che gli dovette richiamare l’esempio della
spirituale maestra” (P. Cassiano Carpaneto, Ettore Vernazza): la venerabile
Maria Lorenza Longo di cui
il contemporaneo Passero asserisce: “La Signora Longa vedova ... ordinò
detto hospedale, et essa con le proprie mani sempre l’have servito, et serve
continuo, non lasciando fatiche, et parte con elemosine et parte con soi robbe
proprie se nutricano: ma chi non vede lo servire che detta donna ha fatto e fa
non se crederia ...”, come pure il cronista cappuccino Mattia Bellintani da
Salò riferisce: “visse la santa donna
vent’anni in Napoli, nel qual tempo edificò e governò l’hospedale.”
I
contemporanei, i biografi non si stancarono di celebrare l’insonne attività e
la benefica piissima pietà verso gli infermi di “Madama Longa”
il cui esempio di carità divenne particolarmente
fecondo: intorno a lei vi fu subito una gara di nobili signore che si onorarono
di servire i poveri infermi: Maria e Giovanna d’Aragona, Costanza d’Alvos,
Vittoria Colonna e Maria Ajerbo, duchessa di Termoli.
Ma chi era Maria
Lorenza Longo? Nobildonna catalana della famiglia Richenza di Lerida, giunta
nel napoletano con il consorte Giovanni Llonc, Reggente della Cancelleria del
Re Cattolico Ferdinando D’Aragona, che nel 1506 veniva a prendere possesso del
Regno delle Due Sicilie, vi arrivò, con tre figli, già gravata da paralisi per opera di una
serva a cui aveva rimproverato l’indegna condotta.
Vedova a 46
anni, ridotta in uno stato da potersi considerare pietoso, si chiuse ancor più
nel silenzio e nella preghiera. Successivamente, però, volle attuare un suo
antico desiderio: visitare la casa della Madonna a Loreto. Incurante della
lunghezza e dei disagi del viaggio, accompagnata dalla figlia Speranza e dal
genero, raggiunse la meta desiderata. Nella Santa Casa avvertì un risveglio di
energie ed un bisogno irresistibile di alzarsi, di camminare come non faceva da
lunghissimi anni. Non credeva a se stessa: aveva ottenuto, sembra nella festa
di S. Luca, prodigiosamente la
guarigione. Volle chiamarsi Maria Laurenzia e vestire l’abito francescano per
esprimere il suo proposito di maggior intensità spirituale.
Napoli
viveva tempi difficili e gravi per la degenerazione dell’umanesimo, per
turbolenze politiche, per guerre interminabili, per carestia e fame spaventose.
Maria Lorenza di ritorno, grata a Dio per la riavuta salute, volle dedicarsi
tutta alle opere di carità. Nota per la sua pietà e per la larga azione
caritativa, vicina ai nobili e ben accetta alle autorità civili, si vide un
giorno “abbordata” dal Vernazza:
“Signora, voi siete quella che Dio ha ordinato che debba governare il nostro
hospedale.” (Battistina Vernazza, ricordi di suo padre). Maria Lorenza si
trovò ad una svolta decisiva della sua vita: ad un primo diniego e “ combattendo longamente, per esser forte
l’una parte e l’altra, il Signore la mutò di sorta che consentì e venne a tanto
... che abbracciò ella con grande spirito questa impresa pigliando il governo
degli infermi con meraviglioso esempio et edificazione che ella diede non solo
a Napoli, ma fuori ancora, aiutando ella le povere creature non solo per sanità
de corpi, ma eziandio per la salute delle anime.” (Saverio Toppi, Maria
Lorenza e l’opera del Divino Amore a Napoli).
Maria
Lorenza fu governatrice dell’ospedale da lei fondato che chiamò S. Maria del
Popolo; ivi
si ritirò a lavorare e pregare e vi rimase per un ventennio. Sotto la sua
direzione gli Incurabili divenne presto il centro ospedaliero di Napoli ed
assunse sempre più importanti proporzioni.
“Visse la santa donna, dopo la
ricevuta sanità, 20 anni nel qual tempo edificò e governò l’hospedale. Ma
desiderosa, come è il proprio delle sante persone, di più ampliare il santo
servigio di Dio e riportare più abbondante frutto, si risolse di fare un
Monastero di Monache vergini.”
Così Mattia da Salò narra dell’ultimo tempo di vita di Maria Lorenza tesa verso
“l’Incontro”.
Verosimilmente
nel 1530 vennero a Napoli i primi frati Cappuccini che iniziarono a prestare
l’attività assistenziale presso gli Incurabili già svolta a Roma. Ancora Mattia
da Salò: “Essa fu la prima che accettasse
i frati Cappuccini in Napoli e col suo favore fece loro havere il luogo di S.
Effremo, e fra tanto nell’hospedale degli Incurabili li raccolse. Et dopo,
nella loro tribolazione, non piccolo aiuto diè loro presso Carlo V, il quale,
avendo cognizione della santità et qualità di questa donna, molto la stimava e
faceva caso alle sue parole. Fece ella il medesimo con Paolo III.”
Maria
Lorenza, a contatto con quei santi frati, si era lasciata conquistare
dall’ideale d’una Riforma Serafica “al femminile”. Cominciò a raccogliere anime
fervorose che volevano seguirla nella vita contemplativa e chiese alla Santa
Sede di fondare un Monastero sotto il titolo di S. Maria in Gerusalemme, legato
al nuovo Ordine dei Cappuccini, che traeva linfa vitale dalla volontà di
tornare alle origini.
Maria
Lorenza vi si chiudeva per il restante
dei suoi giorni nel 1534. “Vi fece la
professione e d’ordine di Paolo III, all’hora pontefice, ne prese il governo
sotto il titolo di Abbadessa ove ... con tutte le altre di quella casa, si
astrinse con perpetuo voto ad osservare la prima e più stretta Regola di Santa
Chiara.”(Zaccaria Boverio da Saluzzo)
Paolo III,
nel 1536 autorizzava il Monastero ad accogliere trentatrè religiose e, nel
1538, con il Motu-proprio “Cum
Monaterium”ne affidava definitivamente ai frati Cappuccini la cura
spirituale: “...d’indi le monache ne
sortirono il none di Cappuccine” (Mattia da Salò); in Napoli il Monastero
fu detto delle “Trentatrè”.
Infine,
sempre nelle cronache di Mattia da Salò, si trova l’epilogo di così santa vita:
“Due giorni avanti che morisse, fatte chiamare a sé le Monache, con
un discorso spirituale le esortò con molto ardore di spirito all’amore di Dio,
alla pace, alla carità vicendevole, raccomandando loro sopra ogni altra cosa
l’orazione necessarissima per osservare puramente e santamente la Regola. Raccolte tutte le
potenze dell’anima in un sol Dio, centro de’ suoi amori, à cui con tutti gli
affetti aspirava e sospirava ...ne entrò nello Regno.”
L’indefesso
servizio di carità di Maria Lorenza Longo si estese ad ogni sorta di bisogni
sociali; l’amore per Dio la portò all’esperienza spirituale più alta e pura da
cui, con maggior ardore, discendeva alla concretezza quotidiana per compiere tutto quello che domandò e volle “lo
Divino Amore”.
L’indefesso
servizio di carità si estese anche visibilmente nella fecondità di luoghi
simili al Monastero di Santa Maria in Gerusalemme: Roma, Gubbio, Perugia; S.
Carlo Borromeo volle le Cappuccine a Milano. Fuori d’Italia, la prima
fondazione fu di Granada: Maria Lorenza “ritornava” nella sua terra
d’origine.
Le sorelle Clarisse Cappuccine
del Monastero SS. Sacramento
di Genova
del Monastero SS. Sacramento
di Genova
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