sabato 20 dicembre 2014
mercoledì 10 settembre 2014
14 settembre 2014, FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA CROCE
Carissimi fratelli, sorelle, amici,
Vi invitiamo a partecipare con noi alla Divina Liturgia in rito bizantino-slavo col Coro di Russia Cristiana di Seriate. Vi attendiamo domenica 14 settembre, alle ore 10,30! |
mercoledì 30 luglio 2014
11 agosto 2014, Solennità di Santa Chiara
Carissimi fratelli, sorelle, amici,
Vi invitiamo a celebrare con noi la Solennità della nostra Madre Santa Chiara.
Per gli orari consultare il calendario e la lettera di seguito:
Vi attendiamo!
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Video degli anni scorsi |
domenica 1 giugno 2014
Santa Agnese di Boemia
Figura
poco nota in Italia,
della
Chiesa e del movimento francescano
SANTA
AGNESE di BOEMIA,
CLARISSA
Suo padre fu Premislav Otakar I, re potente
ed ambizioso, che raggiunse il riconoscimento perpetuo ed ereditario del regno
di Boemia dall’imperatore Federico II di Svevia nel 1212 ed attuò una politica
di consolidamento e di espansione della propria dinastia con accordi politici e
diplomatici. In questi rientravano le alleanze matrimoniali che coinvolsero la
figlia Agnese.
Nata attorno al 1211, aveva appena tre anni
quando si concluse il suo fidanzamento con il figlio del duca di Slesia e fu
inviata alla corte del promesso sposo per “inculturazione” , diremmo oggi,
secondo i costumi del tempo. Questa prima esperienza, tuttavia, incise
profondamente nella vita della piccola Agnese. Affidata alle cure di Santa
Edvige, duchessa madre, e delle monache cistercensi di Trzebinca per apprendere
l’istruzione conveniente al rango, ella cominciò a capire di essere chiamata
alla santità. Il fidanzato bambino morì improvvisamente. Agnese fece ritorno in
patria.
Un nuovo e più vantaggioso progetto
matrimoniale costrinse la principessa a trasferirsi a Vienna, alla corte di
Leopoldo VI d’Austria dove risiedeva il secondo fidanzato Enrico, figlio
dell’imperatore Federico II, in attesa che si portassero a compimento tutte le
condizioni stabilite per contrarre il matrimonio che, per intrighi di corte,
venne bruscamente interrotto. Enrico sposò la figlia Margherita di Leopoldo. La
vicenda suscitò l’offesa e lo sdegno del padre di Agnese che attaccò l’Austria
con decisa volontà di vendicarsi. Fu la prima occasione nella quale Agnese
svolse il ruolo della pacificazione in un conflitto: intervenne ottenendo da
suo padre che cessasse la guerra
scoppiata a causa del matrimonio mancato. Alla splendida e raffinata corte di Vienna, Agnese non si
lasciò attrarre dalle frivolezze mondane; visse attenta alle cose dello
spirito, mentre nel suo cuore maturava la scelta di consacrare tutta la sua
vita a Dio.
Tornata da Vienna alla casa paterna, le
occasioni di nozze prestigiose si riproposero da parte di re Enrico III
d’Inghilterra e dello stesso imperatore Federico rimasto vedovo. I progetti
erano assai lusinghieri per il regno di Boemia e per Agnese stessa che,
tuttavia, orientava già da tempo la sua vita verso più alta meta al di sopra
dei desideri e vantaggi terreni.
Nel 1225 arrivarono a Praga i frati Minori,
figli di Francesco d’Assisi che furono accolti con gioia nel reame ed
apprezzati assai per l’ideale di povertà e
umiltà in santa letizia. Inoltre, nella vicina Turingia, si diffondeva
la fama della cugina di Agnese Elisabetta, figlia del re di Ungheria di cui
Costanza, mamma di Agnese, era sorella. Moglie di Ludovico di Turingia, Elisabetta
si era entusiasmata santamente per gli
ideali di umiltà e povertà francescane che si diffondevano rapidamente
nell’Europa centrale e, rimasta vedova, consacrò tutta la sua vita al servizio
dei poveri e alla pratica della vita ascetica. Con il suo patrimonio, fece
costruire un grande ospedale a Marburgo dove si fece serva più umile di tutti
aderendo all’Ordine Francescano come terziaria. La sua vicenda sollevò grande
meraviglia, si diffuse con rapidità e
risvegliò in Agnese i propositi, mai assopiti, di vita interamente dedita a Dio
e alle opere dell’amore verso i fratelli più poveri per i quali lei pure fece
costruire un ospedale a Praga.
La richiesta di matrimonio di Federico
imperatore si ripropose aprendo ad Agnese infinite possibilità di potere e
gloria terrena: la più alta carica e il massimo onore a cui potesse aspirare
una donna del suo tempo. Ora, non più
fanciulla, libera dalla “patria potestas”per la morte del padre avvenuta nel
1230, Agnese poteva manifestare, per la prima volta, la sua volontà per quanto
la riguardava direttamente e si oppose con netto diniego.
Consapevole, tuttavia, di quanto il rifiuto
della mano dell’imperatore potesse comportare, nella vita politica del fratello
Venceslao, nuovo re di Boemia, e al suo popolo, Agnese scrisse al padre di
tutta la cristianità, papa Gregorio IX, perché appoggiasse il suo proposito di
farsi religiosa. Il papa non tardò a darle il suo assenso elogiando la sua
volontà di “più alte nozze”, mentre l’imperatore rispose ragionevolmente al
rifiuto: «Se questa offesa – scrisse – fosse stata a noi arrecata da un
qualsiasi altro uomo, non mancheremmo in nessun modo di vendicare l’oltraggio
di tanto disprezzo. Ma poiché Agnese preferì a noi un più nobile sovrano, non
considereremo questa sua scelta un affronto, ma l’accetteremo come volontà di
Dio.» E accompagnò la lettera con preziosi doni e molte reliquie. (In vitam
inclite Virginis Agnetis, cap. II)
Il rifiuto delle nozze e le attività
caritative di Agnese manifestavano ora, nell’età matura, i frutti di un lungo processo di trasformazione. Ella
si muoveva nella dimensione di una ricerca spirituale; determinante fu
l’incontro con il francescanesimo. Al primo gruppo di frati se ne aggiunsero
altri provenienti dall’Italia centrale. Esisteva già il convento fatto
costruire dal padre, ma Agnese volle costruirne un altro, quello di San
Francesco, per i nuovi arrivati da cui ebbe notizia di Chiara e delle Signore
Povere di San Damiano.
sorella al lavoro |
Agnese, intanto, visitava chiese e
monasteri cercando, in questo peregrinare, luce sulla sua ormai consolidata
vocazione alla vita religiosa. Significativi gesti della definitiva scelta
furono la vendita di oro e argento, oggetti e ornamenti preziosi il cui
ricavato distribuiva ai poveri e con cui sosteneva l’ospedale da lei fondato.
Con la donazione di terreni e beni fattale da Costanza, sua madre, e con
successive dei fratelli, Agnese fece costruire un monastero inserito nel
complesso architettonico del convento di San Francesco, mentre chiedeva a
Chiara d’Assisi cinque sorelle per la fondazione del ramo francescano
femminile. Esse giunsero a Praga nel 1233; qui le attendevano le prime sette
novizie boeme che fecero il loro ingresso in monastero l’11 novembre, festa di
San Martino di Tours. La principessa
attese la solennità di Pentecoste. L’11 giungo 1234 prese l’abito
religioso realizzando la chiamata divina nello spirito francescano. All’evento
partecipò tutta la famiglia reale, il Vescovo, il clero e una moltitudine di
persone. Il 30 agosto Gregorio IX, su richiesta di re Venceslao, prese possesso
del monastero, del convento e dell’ospedale costruiti da Agnese e li pose sotto
la protezione della Sede Apostolica.
La scelta di Agnese, se concludeva il cammino di discernimento, era,
al tempo stesso, l’inizio di un nuovo periodo di difficoltà. Si trovò di fronte
alla necessità di far comprendere e di difendere l’ideale del movimento
francescano sia maschile che femminile: l’impegno di povertà assoluta e di
minorità proposto da Francesco e rimasto sempre il punto di riferimento di
Chiara sua «pianticella» con cui Agnese fu in contatto diretto. Le due sante
percorsero tappe comuni: Chiara ottenne da papa Gregorio IX «il privilegio
della povertà» nel 1228, Agnese nel 1238; nel documento la fondazione di Boemia
è denominata dalla Sede Apostolica: «Recluse serve di Cristo del monastero di
San Francesco a Praga e dell’Ordine di San Damiano». L’altezza e la ricchezza
del nuovo ideale di sequela del Cristo povero e crocifisso, fu perseguito ed
attuato dalle due donne con l’innovativa scelta della precarietà evangelica “ ... di Cristo e della sua Santissima
Madre” (RsC FF 2748).
Agnese, che viveva ora l’impegno di
identificazione con la vita, l’amore e le sofferenze del Crocifisso povero, non
restò al di fuori delle vicende politiche della sua terra e della sua famiglia,
ma intervenne come pacificatrice in conflitti drammatici e dilaceranti.
Papa Gregorio IX, in un momento di grave
tensione tra il papato e l’imperatore Federico, scomunicato dal pontefice, si
rivolgeva ad Agnese, perché esortasse suo fratello re a conservare fedeltà alla
Sede Apostolica e ne ottenne la mediazione. Nella rivolta della nobiltà boema
conto il re Venceslao, suo figlio Premislav Otacar fu acclamato re al posto del
padre. Papa Innocenzo IV minacciò di scomunica gli insorti; tutti vennero a più miti consigli
e con una messa solenne nella Chiesa del monastero di Agnese, avvenne la
riconciliazione tra padre e figlio, rispettivamente fratello e nipote di
Agnese, per il suo intervento pacificatore. Papa Innocenzo IV fece ricorso ad
Agnese anche nel contenzioso per il vescovado di Olomouc per il quale il
pontefice aveva designato Bruno di Schaumburg, mentre il capitolo della
cattedrale aveva eletto l’arcidiacono Guglielmo ed il re Venceslao era
intervenuto nominando il suo notaio Corrado di Friedberg. Il processo istruito
dalla curia papale, che si protraeva da cinque anni, fu risolto con
l’accettazione da parte di tutti della nomina papale di Bruno di Schaumburg,
ancora una volta per l’intervento chiesto ad Agnese dal Papa.
sorella al lavoro |
Chiara, a cui non sfuggirono le sofferenze
della sorella d’oltralpe, la esortava ad alzare gli occhi verso lo specchio
della croce di Cristo: «...guarda, o
nobilissima regina, il tuo Sposo ... morente tra le angosce della croce:
guardalo, contemplalo, desiderando di imitarlo» (2LAg FF 2879).
Tra croci sempre nuove e consolazioni
divine, visse gli anni della sua lunga vita fino all’ultima malattia che la
portò alla morte. Alle consorelle ricordava l’amore di Dio e dei fratelli, la
vita nella povertà e nell’obbedienza alla Chiesa romana. Circondata
dall’affetto e dalla preghiera, tutta illuminata nel volto, il 2 marzo 1282,
rese la sua anima a Dio.
La fama della sua santità crebbe sempre più
dopo la sua morte. Ufficialmente fu chiamata beata dal 1356; papa Giovanni
Paolo II la canonizzò nel 1989.
Le sorelle Clarisse Cappuccine
del
Monastero SS. Sacramento di Genova
giovedì 27 marzo 2014
L’opera del DIVINO
AMORE,
gli Incurabili, i
Cappuccini, le “Trentatré”
UNA GENTILDONNA SPAGNOLA
NELLA NAPOLI del ‘500
Alle radici del movimento francescano dei secoli XV e XVI, si
trovano frammenti di una realtà sorgiva che non è da lasciare circoscritta al
passato. Riandarci non si tratta di nudo scavo storico, ma è condivisione
vitale, “traditio”, consegna, di
squarci reali e concreti, per costatare come “lo Divino Amore” si è abbassato.
Non è rimasto un bel concetto, ma è diventato “opera”, cioè, mani che
si sono sporcate, ginocchia che si
sono piegate e sguardo attento alle
deformità fisiche, morali e spirituali.
Docili strumenti del Divino Amore si ritrovarono ad operare,
sotto l’egida di Santa Caterina Fieschi Adorno, terziaria francescana,
“rettora” di S. Maria di Pamatone, primo “ospedale degli Incurabili”, Ettore
Vernazza, Pietro Carafa – Paolo III, Gaetano daThiene, Maria Lorenza Longo,
Maria Ajerbo, duchessa di Termoli, i Cappuccini. Laici, religiosi, terziari,
papa, vescovi, si legarono in mutua “collatio”,
in una spiritualità alta ed austera che intendeva aprirsi alle molteplici
necessità umane, spinti da “un impulso di
meravigliosa abnegazione ... come il traboccante seno materno che appaga e
nutre, un’agile, tenera, cordiale affezione per il prossimo anche esternamente
povero e deforme, ma internamente ricco e magnifico.” (P. Umile Bonzi, S.
Caterina da Genova).
Nel 1494 la diffusione del morbo gallico (sifilide) trovò il
cenacolo cateriniano aperto alla condivisione. I poveri malati erano ridotti a
un aspetto ripugnante e sordido, come lebbrosi. Per loro fu istituito il
Ridotto degli Incurabili sotto la protezione di Maria Vergine.
Il nostro fratello Ettore Vernazza, il “dolce figliolo”, come lo
chiamava la sua maestra Caterinetta, convinto che il Signore Gesù era lì nella
povertà di quegli infelici, cercò anche a Roma una soluzione e, in seguito, nel
Regno di Napoli. Egli aveva già portato nella capitale partenopea il messaggio
del Divino Amore, i cui confratelli erano gli strumenti delle principali opere
pie che si esercitavano nella città di Napoli.
Vi ritornò, dunque, il Vernazza per i “suoi” poveri incurabili e qui “ebbe
un provvidenziale incontro, che gli dovette richiamare l’esempio della
spirituale maestra” (P. Cassiano Carpaneto, Ettore Vernazza): la venerabile
Maria Lorenza Longo di cui
il contemporaneo Passero asserisce: “La Signora Longa vedova ... ordinò
detto hospedale, et essa con le proprie mani sempre l’have servito, et serve
continuo, non lasciando fatiche, et parte con elemosine et parte con soi robbe
proprie se nutricano: ma chi non vede lo servire che detta donna ha fatto e fa
non se crederia ...”, come pure il cronista cappuccino Mattia Bellintani da
Salò riferisce: “visse la santa donna
vent’anni in Napoli, nel qual tempo edificò e governò l’hospedale.”

I
contemporanei, i biografi non si stancarono di celebrare l’insonne attività e
la benefica piissima pietà verso gli infermi di “Madama Longa”
il cui esempio di carità divenne particolarmente
fecondo: intorno a lei vi fu subito una gara di nobili signore che si onorarono
di servire i poveri infermi: Maria e Giovanna d’Aragona, Costanza d’Alvos,
Vittoria Colonna e Maria Ajerbo, duchessa di Termoli.
Ma chi era Maria
Lorenza Longo? Nobildonna catalana della famiglia Richenza di Lerida, giunta
nel napoletano con il consorte Giovanni Llonc, Reggente della Cancelleria del
Re Cattolico Ferdinando D’Aragona, che nel 1506 veniva a prendere possesso del
Regno delle Due Sicilie, vi arrivò, con tre figli, già gravata da paralisi per opera di una
serva a cui aveva rimproverato l’indegna condotta.
Vedova a 46
anni, ridotta in uno stato da potersi considerare pietoso, si chiuse ancor più
nel silenzio e nella preghiera. Successivamente, però, volle attuare un suo
antico desiderio: visitare la casa della Madonna a Loreto. Incurante della
lunghezza e dei disagi del viaggio, accompagnata dalla figlia Speranza e dal
genero, raggiunse la meta desiderata. Nella Santa Casa avvertì un risveglio di
energie ed un bisogno irresistibile di alzarsi, di camminare come non faceva da
lunghissimi anni. Non credeva a se stessa: aveva ottenuto, sembra nella festa
di S. Luca, prodigiosamente la
guarigione. Volle chiamarsi Maria Laurenzia e vestire l’abito francescano per
esprimere il suo proposito di maggior intensità spirituale.
Napoli
viveva tempi difficili e gravi per la degenerazione dell’umanesimo, per
turbolenze politiche, per guerre interminabili, per carestia e fame spaventose.
Maria Lorenza di ritorno, grata a Dio per la riavuta salute, volle dedicarsi
tutta alle opere di carità. Nota per la sua pietà e per la larga azione
caritativa, vicina ai nobili e ben accetta alle autorità civili, si vide un
giorno “abbordata” dal Vernazza:
“Signora, voi siete quella che Dio ha ordinato che debba governare il nostro
hospedale.” (Battistina Vernazza, ricordi di suo padre). Maria Lorenza si
trovò ad una svolta decisiva della sua vita: ad un primo diniego e “ combattendo longamente, per esser forte
l’una parte e l’altra, il Signore la mutò di sorta che consentì e venne a tanto
... che abbracciò ella con grande spirito questa impresa pigliando il governo
degli infermi con meraviglioso esempio et edificazione che ella diede non solo
a Napoli, ma fuori ancora, aiutando ella le povere creature non solo per sanità
de corpi, ma eziandio per la salute delle anime.” (Saverio Toppi, Maria
Lorenza e l’opera del Divino Amore a Napoli).
Maria
Lorenza fu governatrice dell’ospedale da lei fondato che chiamò S. Maria del
Popolo; ivi
si ritirò a lavorare e pregare e vi rimase per un ventennio. Sotto la sua
direzione gli Incurabili divenne presto il centro ospedaliero di Napoli ed
assunse sempre più importanti proporzioni.
“Visse la santa donna, dopo la
ricevuta sanità, 20 anni nel qual tempo edificò e governò l’hospedale. Ma
desiderosa, come è il proprio delle sante persone, di più ampliare il santo
servigio di Dio e riportare più abbondante frutto, si risolse di fare un
Monastero di Monache vergini.”
Così Mattia da Salò narra dell’ultimo tempo di vita di Maria Lorenza tesa verso
“l’Incontro”.
Verosimilmente
nel 1530 vennero a Napoli i primi frati Cappuccini che iniziarono a prestare
l’attività assistenziale presso gli Incurabili già svolta a Roma. Ancora Mattia
da Salò: “Essa fu la prima che accettasse
i frati Cappuccini in Napoli e col suo favore fece loro havere il luogo di S.
Effremo, e fra tanto nell’hospedale degli Incurabili li raccolse. Et dopo,
nella loro tribolazione, non piccolo aiuto diè loro presso Carlo V, il quale,
avendo cognizione della santità et qualità di questa donna, molto la stimava e
faceva caso alle sue parole. Fece ella il medesimo con Paolo III.”
Maria
Lorenza, a contatto con quei santi frati, si era lasciata conquistare
dall’ideale d’una Riforma Serafica “al femminile”. Cominciò a raccogliere anime
fervorose che volevano seguirla nella vita contemplativa e chiese alla Santa
Sede di fondare un Monastero sotto il titolo di S. Maria in Gerusalemme, legato
al nuovo Ordine dei Cappuccini, che traeva linfa vitale dalla volontà di
tornare alle origini.
Maria
Lorenza vi si chiudeva per il restante
dei suoi giorni nel 1534. “Vi fece la
professione e d’ordine di Paolo III, all’hora pontefice, ne prese il governo
sotto il titolo di Abbadessa ove ... con tutte le altre di quella casa, si
astrinse con perpetuo voto ad osservare la prima e più stretta Regola di Santa
Chiara.”(Zaccaria Boverio da Saluzzo)
Paolo III,
nel 1536 autorizzava il Monastero ad accogliere trentatrè religiose e, nel
1538, con il Motu-proprio “Cum
Monaterium”ne affidava definitivamente ai frati Cappuccini la cura
spirituale: “...d’indi le monache ne
sortirono il none di Cappuccine” (Mattia da Salò); in Napoli il Monastero
fu detto delle “Trentatrè”.
Infine,
sempre nelle cronache di Mattia da Salò, si trova l’epilogo di così santa vita:
“Due giorni avanti che morisse, fatte chiamare a sé le Monache, con
un discorso spirituale le esortò con molto ardore di spirito all’amore di Dio,
alla pace, alla carità vicendevole, raccomandando loro sopra ogni altra cosa
l’orazione necessarissima per osservare puramente e santamente la Regola. Raccolte tutte le
potenze dell’anima in un sol Dio, centro de’ suoi amori, à cui con tutti gli
affetti aspirava e sospirava ...ne entrò nello Regno.”
L’indefesso
servizio di carità di Maria Lorenza Longo si estese ad ogni sorta di bisogni
sociali; l’amore per Dio la portò all’esperienza spirituale più alta e pura da
cui, con maggior ardore, discendeva alla concretezza quotidiana per compiere tutto quello che domandò e volle “lo
Divino Amore”.
Le sorelle Clarisse Cappuccine
del Monastero SS. Sacramento
di Genova
del Monastero SS. Sacramento
di Genova
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