mercoledì 10 settembre 2014

14 settembre 2014, FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA CROCE

Carissimi fratelli, sorelle, amici,

Vi invitiamo a partecipare con noi alla
Divina Liturgia in rito bizantino-slavo
col Coro di Russia Cristiana di Seriate
.

Vi attendiamo domenica 14 settembre, alle ore 10,30!



mercoledì 30 luglio 2014

11 agosto 2014, Solennità di Santa Chiara

Carissimi fratelli, sorelle, amici,

Vi invitiamo a celebrare con noi la Solennità della nostra Madre Santa Chiara.
Per gli orari consultare il calendario e la lettera di seguito:
Vi attendiamo!
 SCARICA LA LETTERA DELLA COMUNITA'  

Video degli anni scorsi





domenica 1 giugno 2014

Santa Agnese di Boemia


Figura poco nota in Italia,
molto importante nella storia del suo popolo,
della Chiesa e del movimento francescano

SANTA AGNESE di BOEMIA,
CLARISSA

Suo padre fu Premislav Otakar I, re potente ed ambizioso, che raggiunse il riconoscimento perpetuo ed ereditario del regno di Boemia dall’imperatore Federico II di Svevia nel 1212 ed attuò una politica di consolidamento e di espansione della propria dinastia con accordi politici e diplomatici. In questi rientravano le alleanze matrimoniali che coinvolsero la figlia Agnese.
Nata attorno al 1211, aveva appena tre anni quando si concluse il suo fidanzamento con il figlio del duca di Slesia e fu inviata alla corte del promesso sposo per “inculturazione” , diremmo oggi, secondo i costumi del tempo. Questa prima esperienza, tuttavia, incise profondamente nella vita della piccola Agnese. Affidata alle cure di Santa Edvige, duchessa madre, e delle monache cistercensi di Trzebinca per apprendere l’istruzione conveniente al rango, ella cominciò a capire di essere chiamata alla santità. Il fidanzato bambino morì improvvisamente. Agnese fece ritorno in patria.
Un nuovo e più vantaggioso progetto matrimoniale costrinse la principessa a trasferirsi a Vienna, alla corte di Leopoldo VI d’Austria dove risiedeva il secondo fidanzato Enrico, figlio dell’imperatore Federico II, in attesa che si portassero a compimento tutte le condizioni stabilite per contrarre il matrimonio che, per intrighi di corte, venne bruscamente interrotto. Enrico sposò la figlia Margherita di Leopoldo. La vicenda suscitò l’offesa e lo sdegno del padre di Agnese che attaccò l’Austria con decisa volontà di vendicarsi. Fu la prima occasione nella quale Agnese svolse il ruolo della pacificazione in un conflitto: intervenne ottenendo da suo padre che  cessasse la guerra scoppiata a causa del matrimonio mancato. Alla splendida  e raffinata corte di Vienna, Agnese non si lasciò attrarre dalle frivolezze mondane; visse attenta alle cose dello spirito, mentre nel suo cuore maturava la scelta di consacrare tutta la sua vita a Dio.
Tornata da Vienna alla casa paterna, le occasioni di nozze prestigiose si riproposero da parte di re Enrico III d’Inghilterra e dello stesso imperatore Federico rimasto vedovo. I progetti erano assai lusinghieri per il regno di Boemia e per Agnese stessa che, tuttavia, orientava già da tempo la sua vita verso più alta meta al di sopra dei desideri e vantaggi  terreni.
Nel 1225 arrivarono a Praga i frati Minori, figli di Francesco d’Assisi che furono accolti con gioia nel reame ed apprezzati assai per l’ideale di povertà e  umiltà in santa letizia. Inoltre, nella vicina Turingia, si diffondeva la fama della cugina di Agnese Elisabetta, figlia del re di Ungheria di cui Costanza, mamma di Agnese, era sorella. Moglie di Ludovico di Turingia, Elisabetta si era entusiasmata  santamente per gli ideali di umiltà e povertà francescane che si diffondevano rapidamente nell’Europa centrale e, rimasta vedova, consacrò tutta la sua vita al servizio dei poveri e alla pratica della vita ascetica. Con il suo patrimonio, fece costruire un grande ospedale a Marburgo dove si fece serva più umile di tutti aderendo all’Ordine Francescano come terziaria. La sua vicenda sollevò grande meraviglia, si diffuse  con rapidità e risvegliò in Agnese i propositi, mai assopiti, di vita interamente dedita a Dio e alle opere dell’amore verso i fratelli più poveri per i quali lei pure fece costruire un ospedale a Praga.
La richiesta di matrimonio di Federico imperatore si ripropose aprendo ad Agnese infinite possibilità di potere e gloria terrena: la più alta carica e il massimo onore a cui potesse aspirare una donna del suo tempo.  Ora, non più fanciulla, libera dalla “patria potestas”per la morte del padre avvenuta nel 1230, Agnese poteva manifestare, per la prima volta, la sua volontà per quanto la riguardava direttamente e si oppose con netto diniego.
Consapevole, tuttavia, di quanto il rifiuto della mano dell’imperatore potesse comportare, nella vita politica del fratello Venceslao, nuovo re di Boemia, e al suo popolo, Agnese scrisse al padre di tutta la cristianità, papa Gregorio IX, perché appoggiasse il suo proposito di farsi religiosa. Il papa non tardò a darle il suo assenso elogiando la sua volontà di “più alte nozze”, mentre l’imperatore rispose ragionevolmente al rifiuto: «Se questa offesa – scrisse – fosse stata a noi arrecata da un qualsiasi altro uomo, non mancheremmo in nessun modo di vendicare l’oltraggio di tanto disprezzo. Ma poiché Agnese preferì a noi un più nobile sovrano, non considereremo questa sua scelta un affronto, ma l’accetteremo come volontà di Dio.» E accompagnò la lettera con preziosi doni e molte reliquie. (In vitam inclite Virginis Agnetis, cap. II)
Il rifiuto delle nozze e le attività caritative di Agnese manifestavano ora, nell’età matura, i frutti  di un lungo processo di trasformazione. Ella si muoveva nella dimensione di una ricerca spirituale; determinante fu l’incontro con il francescanesimo. Al primo gruppo di frati se ne aggiunsero altri provenienti dall’Italia centrale. Esisteva già il convento fatto costruire dal padre, ma Agnese volle costruirne un altro, quello di San Francesco, per i nuovi arrivati da cui ebbe notizia di Chiara e delle Signore Povere di San Damiano.
sorella al lavoro
Agnese, intanto, visitava chiese e monasteri cercando, in questo peregrinare, luce sulla sua ormai consolidata vocazione alla vita religiosa. Significativi gesti della definitiva scelta furono la vendita di oro e argento, oggetti e ornamenti preziosi il cui ricavato distribuiva ai poveri e con cui sosteneva l’ospedale da lei fondato. Con la donazione di terreni e beni fattale da Costanza, sua madre, e con successive dei fratelli, Agnese fece costruire un monastero inserito nel complesso architettonico del convento di San Francesco, mentre chiedeva a Chiara d’Assisi cinque sorelle per la fondazione del ramo francescano femminile. Esse giunsero a Praga nel 1233; qui le attendevano le prime sette novizie boeme che fecero il loro ingresso in monastero l’11 novembre, festa di San Martino di Tours. La principessa  attese la solennità di Pentecoste. L’11 giungo 1234 prese l’abito religioso realizzando la chiamata divina nello spirito francescano. All’evento partecipò tutta la famiglia reale, il Vescovo, il clero e una moltitudine di persone. Il 30 agosto Gregorio IX, su richiesta di re Venceslao, prese possesso del monastero, del convento e dell’ospedale costruiti da Agnese e li pose sotto la protezione della Sede Apostolica.
La scelta di Agnese, se  concludeva il cammino di discernimento, era, al tempo stesso, l’inizio di un nuovo periodo di difficoltà. Si trovò di fronte alla necessità di far comprendere e di difendere l’ideale del movimento francescano sia maschile che femminile: l’impegno di povertà assoluta e di minorità proposto da Francesco e rimasto sempre il punto di riferimento di Chiara sua «pianticella» con cui Agnese fu in contatto diretto. Le due sante percorsero tappe comuni: Chiara ottenne da papa Gregorio IX «il privilegio della povertà» nel 1228, Agnese nel 1238; nel documento la fondazione di Boemia è denominata dalla Sede Apostolica: «Recluse serve di Cristo del monastero di San Francesco a Praga e dell’Ordine di San Damiano». L’altezza e la ricchezza del nuovo ideale di sequela del Cristo povero e crocifisso, fu perseguito ed attuato dalle due donne con l’innovativa scelta della precarietà evangelica “ ... di Cristo e della sua Santissima Madre” (RsC  FF 2748).
Agnese, che viveva ora l’impegno di identificazione con la vita, l’amore e le sofferenze del Crocifisso povero, non restò al di fuori delle vicende politiche della sua terra e della sua famiglia, ma intervenne come pacificatrice in conflitti drammatici e dilaceranti.
Papa Gregorio IX, in un momento di grave tensione tra il papato e l’imperatore Federico, scomunicato dal pontefice, si rivolgeva ad Agnese, perché esortasse suo fratello re a conservare fedeltà alla Sede Apostolica e ne ottenne la mediazione. Nella rivolta della nobiltà boema conto il re Venceslao, suo figlio Premislav Otacar fu acclamato re al posto del padre. Papa Innocenzo IV minacciò di scomunica  gli insorti; tutti vennero a più miti consigli e con una messa solenne nella Chiesa del monastero di Agnese, avvenne la riconciliazione tra padre e figlio, rispettivamente fratello e nipote di Agnese, per il suo intervento pacificatore. Papa Innocenzo IV fece ricorso ad Agnese anche nel contenzioso per il vescovado di Olomouc per il quale il pontefice aveva designato Bruno di Schaumburg, mentre il capitolo della cattedrale aveva eletto l’arcidiacono Guglielmo ed il re Venceslao era intervenuto nominando il suo notaio Corrado di Friedberg. Il processo istruito dalla curia papale, che si protraeva da cinque anni, fu risolto con l’accettazione da parte di tutti della nomina papale di Bruno di Schaumburg, ancora una volta per l’intervento chiesto ad Agnese dal Papa.
sorella al  lavoro
Agnese condivise con il suo popolo il dramma di alluvione, di guerra, di carestia e di conseguente  grande fame che afflissero il regno di Boemia negli anni 1280-1282. Ella si rifugiava nella preghiera ed otteneva, dalla divina Provvidenza,  cibo in aiuto al popolo affamato.   Molti i miracoli che le furono attribuiti già in vita;  amata e venerata  era considerata santa. 
Chiara, a cui non sfuggirono le sofferenze della sorella d’oltralpe, la esortava ad alzare gli occhi verso lo specchio della croce di Cristo: «...guarda, o nobilissima regina, il tuo Sposo ... morente tra le angosce della croce: guardalo, contemplalo, desiderando di imitarlo» (2LAg FF 2879).
Tra croci sempre nuove e consolazioni divine, visse gli anni della sua lunga vita fino all’ultima malattia che la portò alla morte. Alle consorelle ricordava l’amore di Dio e dei fratelli, la vita nella povertà e nell’obbedienza alla Chiesa romana. Circondata dall’affetto e dalla preghiera, tutta illuminata nel volto, il 2 marzo 1282, rese la sua anima a Dio.
La fama della sua santità crebbe sempre più dopo la sua morte. Ufficialmente fu chiamata beata dal 1356; papa Giovanni Paolo II la canonizzò nel 1989.

                                                                 Le sorelle Clarisse Cappuccine
                                                del Monastero SS. Sacramento di Genova



giovedì 27 marzo 2014

Maria Lorenza Longo
L’opera del DIVINO AMORE,
gli Incurabili, i Cappuccini, le “Trentatré”

UNA GENTILDONNA SPAGNOLA NELLA NAPOLI                   del ‘500

Alle radici del movimento francescano dei secoli XV e XVI, si trovano frammenti di una realtà sorgiva che non è da lasciare circoscritta al passato. Riandarci non si tratta di nudo scavo storico, ma è condivisione vitale, “traditio”, consegna, di squarci reali e concreti, per costatare come “lo Divino Amore” si è abbassato. Non è rimasto un bel concetto, ma è diventato “opera”, cioè, mani che si sono sporcate, ginocchia che si sono piegate e sguardo attento alle deformità fisiche, morali e spirituali.
Docili strumenti del Divino Amore si ritrovarono ad operare, sotto l’egida di Santa Caterina Fieschi Adorno, terziaria francescana, “rettora” di S. Maria di Pamatone, primo “ospedale degli Incurabili”, Ettore Vernazza, Pietro Carafa – Paolo III, Gaetano daThiene, Maria Lorenza Longo, Maria Ajerbo, duchessa di Termoli, i Cappuccini. Laici, religiosi, terziari, papa, vescovi, si legarono in mutua “collatio”, in una spiritualità alta ed austera che intendeva aprirsi alle molteplici necessità umane, spinti da “un impulso di meravigliosa abnegazione ... come il traboccante seno materno che appaga e nutre, un’agile, tenera, cordiale affezione per il prossimo anche esternamente povero e deforme, ma internamente ricco e magnifico.” (P. Umile Bonzi, S. Caterina da Genova).
Nel 1494 la diffusione del morbo gallico (sifilide) trovò il cenacolo cateriniano aperto alla condivisione. I poveri malati erano ridotti a un aspetto ripugnante e sordido, come lebbrosi. Per loro fu istituito il Ridotto degli Incurabili sotto la protezione di Maria Vergine.
Il nostro fratello Ettore Vernazza, il “dolce figliolo”, come lo chiamava la sua maestra Caterinetta, convinto che il Signore Gesù era lì nella povertà di quegli infelici, cercò anche a Roma una soluzione e, in seguito, nel Regno di Napoli. Egli aveva già portato nella capitale partenopea il messaggio del Divino Amore, i cui confratelli erano gli strumenti delle principali opere pie che si esercitavano nella città di Napoli.
Vi ritornò, dunque, il Vernazza per i “suoi” poveri incurabili e qui “ebbe un provvidenziale incontro, che gli dovette richiamare l’esempio della spirituale maestra” (P. Cassiano Carpaneto, Ettore Vernazza): la venerabile Maria Lorenza Longo di cui il contemporaneo Passero asserisce: La Signora Longa vedova ... ordinò detto hospedale, et essa con le proprie mani sempre l’have servito, et serve continuo, non lasciando fatiche, et parte con elemosine et parte con soi robbe proprie se nutricano: ma chi non vede lo servire che detta donna ha fatto e fa non se crederia ...”, come pure il cronista cappuccino Mattia Bellintani da Salò riferisce: “visse la santa donna vent’anni  in Napoli, nel qual tempo edificò e governò l’hospedale.”
 I contemporanei, i biografi non si stancarono di celebrare l’insonne attività e la benefica piissima pietà verso gli infermi di “Madama Longa il cui esempio di carità divenne  particolarmente fecondo: intorno a lei vi fu subito una gara di nobili signore che si onorarono di servire i poveri infermi: Maria e Giovanna d’Aragona, Costanza d’Alvos, Vittoria Colonna e Maria Ajerbo, duchessa di Termoli.
Ma chi era Maria Lorenza Longo? Nobildonna catalana della famiglia Richenza di Lerida, giunta nel napoletano con il consorte Giovanni Llonc, Reggente della Cancelleria del Re Cattolico Ferdinando D’Aragona, che nel 1506 veniva a prendere possesso del Regno delle Due Sicilie, vi arrivò, con tre figli,  già gravata da paralisi per opera di una serva a cui aveva rimproverato l’indegna condotta.
Vedova a 46 anni, ridotta in uno stato da potersi considerare pietoso, si chiuse ancor più nel silenzio e nella preghiera. Successivamente, però, volle attuare un suo antico desiderio: visitare la casa della Madonna a Loreto. Incurante della lunghezza e dei disagi del viaggio, accompagnata dalla figlia Speranza e dal genero, raggiunse la meta desiderata. Nella Santa Casa avvertì un risveglio di energie ed un bisogno irresistibile di alzarsi, di camminare come non faceva da lunghissimi anni. Non credeva a se stessa: aveva ottenuto, sembra nella festa di S. Luca,  prodigiosamente la guarigione. Volle chiamarsi Maria Laurenzia e vestire l’abito francescano per esprimere il suo proposito di maggior intensità spirituale.
Napoli viveva tempi difficili e gravi per la degenerazione dell’umanesimo, per turbolenze politiche, per guerre interminabili, per carestia e fame spaventose. Maria Lorenza di ritorno, grata a Dio per la riavuta salute, volle dedicarsi tutta alle opere di carità. Nota per la sua pietà e per la larga azione caritativa, vicina ai nobili e ben accetta alle autorità civili, si vide un giorno “abbordata” dal Vernazza: “Signora, voi siete quella che Dio ha ordinato che debba governare il nostro hospedale.” (Battistina Vernazza, ricordi di suo padre). Maria Lorenza si trovò ad una svolta decisiva della sua vita: ad un primo diniego e “ combattendo longamente, per esser forte l’una parte e l’altra, il Signore la mutò di sorta che consentì e venne a tanto ... che abbracciò ella con grande spirito questa impresa pigliando il governo degli infermi con meraviglioso esempio et edificazione che ella diede non solo a Napoli, ma fuori ancora, aiutando ella le povere creature non solo per sanità de corpi, ma eziandio per la salute delle anime.” (Saverio Toppi, Maria Lorenza e l’opera del Divino Amore a Napoli).
Maria Lorenza fu governatrice dell’ospedale da lei fondato che chiamò S. Maria del
Popolo; ivi si ritirò a lavorare e pregare e vi rimase per un ventennio. Sotto la sua direzione gli Incurabili divenne presto il centro ospedaliero di Napoli ed assunse sempre più importanti proporzioni.
“Visse la santa donna, dopo la ricevuta sanità, 20 anni nel qual tempo edificò e governò l’hospedale. Ma desiderosa, come è il proprio delle sante persone, di più ampliare il santo servigio di Dio e riportare più abbondante frutto, si risolse di fare un Monastero di Monache vergini.” Così Mattia da Salò narra dell’ultimo tempo di vita di Maria Lorenza tesa verso “l’Incontro”.
Verosimilmente nel 1530 vennero a Napoli i primi frati Cappuccini che iniziarono a prestare l’attività assistenziale presso gli Incurabili già svolta a Roma. Ancora Mattia da Salò: “Essa fu la prima che accettasse i frati Cappuccini in Napoli e col suo favore fece loro havere il luogo di S. Effremo, e fra tanto nell’hospedale degli Incurabili li raccolse. Et dopo, nella loro tribolazione, non piccolo aiuto diè loro presso Carlo V, il quale, avendo cognizione della santità et qualità di questa donna, molto la stimava e faceva caso alle sue parole. Fece ella il medesimo con Paolo III.”
Maria Lorenza, a contatto con quei santi frati, si era lasciata conquistare dall’ideale d’una Riforma Serafica “al femminile”. Cominciò a raccogliere anime fervorose che volevano seguirla nella vita contemplativa e chiese alla Santa Sede di fondare un Monastero sotto il titolo di S. Maria in Gerusalemme, legato al nuovo Ordine dei Cappuccini, che traeva linfa vitale dalla volontà di tornare alle origini.
Maria Lorenza vi si chiudeva  per il restante dei suoi giorni nel 1534. “Vi fece la professione e d’ordine di Paolo III, all’hora pontefice, ne prese il governo sotto il titolo di Abbadessa ove ... con tutte le altre di quella casa, si astrinse con perpetuo voto ad osservare la prima e più stretta Regola di Santa Chiara.”(Zaccaria Boverio da Saluzzo)
Paolo III, nel 1536 autorizzava il Monastero ad accogliere trentatrè religiose e, nel 1538, con il Motu-proprio “Cum Monaterium”ne affidava definitivamente ai frati Cappuccini la cura spirituale: “...d’indi le monache ne sortirono il none di Cappuccine” (Mattia da Salò); in Napoli il Monastero fu detto delle “Trentatrè”.
Infine, sempre nelle cronache di Mattia da Salò, si trova l’epilogo di così santa vita: “Due giorni avanti che  morisse, fatte chiamare a sé le Monache, con un discorso spirituale le esortò con molto ardore di spirito all’amore di Dio, alla pace, alla carità vicendevole, raccomandando loro sopra ogni altra cosa l’orazione necessarissima per osservare puramente e santamente la Regola. Raccolte tutte le potenze dell’anima in un sol Dio, centro de’ suoi amori, à cui con tutti gli affetti aspirava e sospirava ...ne entrò nello Regno.”
L’indefesso servizio di carità di Maria Lorenza Longo si estese ad ogni sorta di bisogni sociali; l’amore per Dio la portò all’esperienza spirituale più alta e pura da cui, con maggior ardore, discendeva alla concretezza quotidiana  per compiere tutto quello che domandò e volle “lo Divino Amore”.
L’indefesso servizio di carità si estese anche visibilmente nella fecondità di luoghi simili al Monastero di Santa Maria in Gerusalemme: Roma, Gubbio, Perugia; S. Carlo Borromeo volle le Cappuccine a Milano. Fuori d’Italia, la prima fondazione fu di Granada: Maria Lorenza “ritornava” nella sua terra d’origine. 



 Le sorelle Clarisse Cappuccine
del Monastero SS. Sacramento 
                di Genova